Complessi Monumentali

Complessi Monumentali 

 

Nell’ambito della visione di lungo periodo del Distretto Databenc e di concerto con le autorità competenti della Città di Salerno, sono stati identificati all’interno del patrimonio archeologico ed architettonico della città alcuni beni di pregio e di indubbio valore storico per i quali sviluppare delle iniziative di tutela e valorizzazione, alla stregua di modello di laboratorio di sperimentazione sul territorio: Palazzo Fruscione e il complesso di San Pietro a Corte (in accordo con le Soprintendenze BAP e BA).

SAN PIETRO A CORTE

 

Il complesso di San Pietro a Corte rappresenta uno dei siti più importanti della storia di Salerno, in quanto costituisce una sorta di finestra temporale sull’evoluzione di questo settore della città con numerose testimonianze di carattere archeologico, storico-artistico e architettonico, ubicato nel cuore del centro storico tra Largo Antica Corte e via dei Canali. Come messo in luce dagli scavi archeologici, il complesso cultuale s’innestava al di sopra del frigidarium di un impianto termale datato tra il I ed il II secolo d. C., successivamente rifunzionalizzato come ecclesia e cemeterium a partire dalla fine del V secolo (497 d. C.) con la deposizione di numerosi inumati. Il secolo VIII è caratterizzato da importanti cambiamenti politici della Langobardia Minor, con lo spostamento della sede di potere da Benevento a Salerno ad opera di Arechi II, che corrispose ad una trasformazione urbanistica di questo settore, destinato a divenire il fulcro politico della città, mediante la realizzazione del palazzo regio e di una cappella ad esso annessa dedicata dal princeps langobardorum ai Santi Pietro e Paolo, ubicata negli ambienti ipogei dello stesso. Nei secoli successivi (XI-XIV secc.), gli ambienti continuarono ad essere utilizzati, seppure con destinazioni d’uso differenti: l’aula di rappresentanza divenne la sede per le riunioni del parlamento cittadino e della Scuola Medica Salernitana, mentre la cappella fu destinata ad oratorio, unitamente ad un arricchimento decorativo con l’aggiunta di affreschi e bassorilievi.

A partire dal XVI secolo il complesso subì diversi rimaneggiamenti, come l’aggiunta della scalinata che risale al 700. Agli inizi del Novecento, l’intera struttura fu pressoché abbandonata fino al 1939, allorquando fu data in concessione alla confraternita di Santo Stefano dall'arcivescovado, mentre fino alla metà degli anni Cinquanta gli ambienti inferiori ospitavano delle botteghe. Attualmente l’ipogeo del complesso è gestito dal Gruppo Archeologico Salernitano grazie ad una convenzione stipulata con la Soprintendenza dei Beni Architettonici e Paesaggistici di Salerno e Avellino e con la Soprintendenza Archeologica di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta, invece la Cappella Palatina è gestita dalla Diocesi salernitana. 

Il lungo periodo d’uso ha prodotto notevoli alterazioni nel complesso monumentale di S. Pietro a Corte, soprattutto in relazione alla ricostruzione cronologica delle numerose fasi di utilizzazione che si sono succedute. 

FASE I – TERME ROMANE 

Nella prima fase si possono riconoscere alcuni locali tipici dell’architettura termale romana databile tra la fine del I sec. d.C. e la prima metà del II sec. d.C.(età flavio-traianea), l’unico monumento che si è conservato della Salerno romana. I lavori condotti fra il 1988 e il 1990, hanno restituito una ricostruzione volumetrica dell’ambiente deputato al bagno freddo, cioè il frigidarium, perno strutturale dei complessi termali a partire dall’età imperiale. 

Il frigidarium di S. Pietro a Corte si può inserire nel complesso delle terme di tipo minore, particolarmente diffuso nel II sec. d.C., caratterizzato dalla non-assialità degli ambienti caldi rispetto al frigidarium, che costituisce il centro dal punto di vista planimetrico ed architettonico dell’edificio. Largo 9,15 m e lungo probabilmente 17,10 m, si articolava in due zone, una nord-occidentale, coperta con una volta a crociera, e l’altra sud-orientale, coperta con volta a botte; è importante sottolineare che il frigidarium aveva aperture in tutte le direzioni. Sono stati ritrovati numerosi frammenti dipinti con una ricca gamma cromatica e diversi motivi decorativi, tra cui la parte superiore di una colonna con capitello ionico e una scacchiera, elemento forte nelle decorazioni pavimentali romane dove, oltre a rappresentare un fondo su cui far spiccare una figurazione, poteva sottolineare il perimetro di un pavimento.

Per spiegare la posizione di questo edificio termale rispetto al piano topografico antico, bisogna preliminarmente osservare la stretta relazione intercorrente tra il complesso termale e la presenza di acque sorgive nella zona, nonché la probabile pertinenza alla zona portuale che doveva essere vicina. Inoltre, il complesso, deve essere letto come dipendente dalla città, cioè la terme pubbliche di Salerno in età imperiale, sebbene esse siano poste ai limiti del centro urbano vero e proprio. La parte del frigidarium coperta con volta a crociera, dopo un parziale abbandono in seguito a fenomeni alluvionali, ospitò una necropoli paleocristiana, databile a partire dal V sec d.C. e in uso fino alla metà del VII sec. d.C., come testimoniano le iscrizioni delle lastre tombali: un primo livello di sepolture utilizzò come piano di deposizione lo strato di malta, già considerato pavimentale romano.

FASE II – ECCLESIA DI SOCRATES

Sul finire del V secolo gli ambienti del frigidarium delle terme severiane ormai in disuso, furono occupate da un piccolo cimitero familiare. Il monumento funebre e l’epitaffio, sopravvissuti indenni a modifiche ed abbandoni, ci comunicano la presenza a Salerno nel V secolo di un dignitario bizantino di nome Socrates insignito del titolo di spectabilis e deceduto nel 497 d.C., sotto il consolato di Anastasio. L’esame della documentazione archeologica rileva la contemporaneità tra l’edificazione della tomba monumentale e la trasformazione i chiesa della precedente costruzione di età imperiale, mentre i nomi di tradizione goto-bizantina, Eutychia e Theodenanda, attestati tra le iscrizioni sepolcrali rinvenute, indirizzano verso un uso cimiteriale a carattere familiare. La trasformazione d’uso degli ambienti da parte di Socrates suggerisce che l’area termale dismessa fosse un bene di sua personale pertinenza giuridica concessagli dall’autorità statale ma è anche possibile che Socrates fosse divenuto concessionario del bene per motivi legati all’esercizio della sua professione. E’ dunque possibile che il funzionario statale su terreno in concessione realizzò sul finire del V secolo, la sua cappella funeraria destinata ad accogliere se e i suoi familiari nei due secoli successivi. La tomba più antica realizzata all’interno dell’edificio è proprio quella relativa alla sepoltura di Socrates. La sua costruzione dovrebbe risalire agli anni immediatamente precedenti quelli della morte, in contemporanea alla trasformazione degli ambienti termali in ecclesia e cimitero. La tomba, posta sul lato nord dell’edificio e rinvenuta inviolata, fu posizionata di fronte all’ingresso, al di sotto di un arco di passaggio in opera listata della fase termale che venne chiuso. In tal modo si andò definendo una struttura ad arcosolio, dinanzi alla quale fu predisposta, al di sotto del pavimento, la fossa realizzata in muratura intonacata con piano di deposizione costituito da cinque tegole piane.

Negli anni a venire l’ambiente ospitò numerose sepolture. Rinvenute parzialmente distrutte e prive di scheletro le tombe rompono tutte l’originario pavimento di scaglie marmoree ed utilizzano, in più casi, la struttura romana sottostante. Alle spalle dell’abside tardo antica sono state individuate e portate alle luce sette sepolture. Si ipotizza che tutti gli inumati fossero strettamente legati al fondatore della chiesa cimiteriale in quanto essere sepolti a più stretto contatto con la zona absidale era considerato un privilegio. Il cimitero non interessò soltanto gli spazi interni ma si estese anche al loro esterno. 

FASE III – AULA SUPERIORE 

Nella seconda metà dell’VIII secolo il cimitero e la chiesa erano presumibilmente rientrati a far parte delle proprietà demaniali. La scelta del sito dove costruire il palazzo, indotta da motivi urbanistici, assunse per Arechi II anche contorni ideologici. La cappella palatina longobarda si sarebbe elevata al di sopra di una chiesa di fondazione bizantina ed Arechi si elevava al rango di continuatore della romanità. Gli interventi costruttivi di quegli anni produssero parziali danni alle tombe e alle strutture preesistenti, prontamente riparati. La volontà da parte del duca longobardo di preservare ed utilizzare gli ambienti paleocristiani è leggibile nel varco lasciato nel muro divisorio, atto a sostenere insieme ai pilastri il pavimento della cappella palatina, mentre l’accesso ai locali veniva assicurato da un ingresso posto a Sud. Il monumento viene a comporsi così di tre distinti edifici: la chiesa superiore, Cappella di Arechi, un vasto ambiente sotterraneo, Ipogeo ed il campanile in stile romanico, che sorge sul lato sud della chiesa. La chiesa si articola in una navata unica conclusa da un’abside semicircolare, realizzata in sostituzione dell’originaria abside rettangolare nel corso del restauro cinquecentesco.

Importante è stato il ritrovamento di più affreschi nell’edificio: quelli maggiormente indicativi, raffigurano Santa Caterina di Alessandria, che consente di ipotizzatela dedicazione della chiesa alla martire alessandrina, ma tra questi il più rappresentativo e meglio conservato è quello che la raffigura sul lato ovest del pilastro arechiano eseguito dopo la costruzione dell’arco di raccordo tra la scala e il pilastro stesso. Una ulteriore figura femminile coronata, ritratta sul lato sud dello stesso pilastro raffigura ancora la santa e un terzo affresco, molto deteriorato, posto di spalle al primo raffigura la Vergine affiancata sulla destra da una figura femminile identificabile ancora una volta con la Caterina alessandrina, e sulla sinistra un santo monaco. Tale affresco è in relazione con ulteriori due dipinti al di sotto dell’arco di raccordo creato tra la scala ed il pilastro arechiano che mostrerebbero l’incontro tra S. Zosimo e Maria Egiziaca e la comunione che il monaco impartisce alla santa eremita. Le immagini non rappresentano una narrazione ma sono piuttosto espressione di una precisa scelta iconografica da parte di committenti che in periodi diversi richiesero l’esecuzione di un soggetto sacro.

Oltre Santa Caterina, dopo la chiusura dell’antico vano di passaggio sono raffigurati San Giorno e San Nicola di Myra. 

IV FASE – DALL’ XI SEC. AI GIORNI NOSTRI

Durante il periodo normanno e fino al periodo svevo, gli ambienti del palazzo vennero utilizzati per usi pubblici. L’aula di rappresentanza del palazzo servì per le riunioni del parlamento cittadino ed anche per le cerimonie di consegna delle lauree della Scuola Medica Salernitana. Nell’ambiente ipogeo fu disposto un oratorio. Nel 1576 la chiesa superiore subì un restauro. Nel 1700 fu realizzata una scala d’ingresso alla stessa chiesa che conduce ad un protiro con un timpano sostenuto da colonne. Caduta in disuso, durante la I Guerra Mondiale fu utilizzata come deposito militare. Nel 1939 fu data in concessione alla confraternita di Santo Stefano dall’arcivescovado.

 

PALAZZO FRUSCIONE

 

Palazzo Fruscione sorge in pieno centro storico – tra Via Adelperga ed il Vicolo Barbuti – ed è considerato l’edificio più significativo della storia dell’architettura civile di Salerno. Oggi parte del patrimonio comunale, il Palazzo è ancora conosciuto col nome degli ultimi proprietari, i Fruscione, ai quali l’immobile è stato espropriato nel 1967, anno in cui il Ministero della Pubblica Istruzione (Direzione Generale Antichità e Belle Arti) ne ha dichiarato il notevole interesse pubblico, sottoponendo il bene, pertanto, alle disposizioni per la tutela dei beni di interesse storico artistico. La costruzione del Palazzo risale al Duecento (spiccano archi e volte in stile longobardo-normanno anche se l’impostazione generale è ottocentesca) e scavi recenti hanno rivelato che esso sia stato eretto, almeno in parte, sulle fondamenta di una costruzione termale d’epoca tardo-romana. Attualmente l’edificio si sviluppa su cinque livelli fuori terra, con un’altezza di quasi 25 metri. Intorno al 1950 sono stati eseguiti, ad opera della Soprintendenza, dei lavori di restauro, con i quali si sono ripristinate alcune membrature architettoniche originali dell’edificio.

Nel 2009, il Comune di Salerno ha previsto un piano di recupero edilizio, di consolidamento e di restauro del palazzo. I lavori, iniziati nel dicembre del 2009 e terminati nell’agosto del 2013, non hanno modificato la struttura originaria, riproponendo, dove possibile, gli stessi materiali e tecniche, intervenendo su volte, solai e murature e curando il rifacimento completo della facciata esterna e del tetto. Sono state rinvenute tracce di muratura che rinviano ad un complesso termale d'epoca imperiale, dei mosaici e degli affreschi del II secolo. L'ambiente con il mosaico, le cui pareti sono rivestite da decorazioni in rilievo di stucco e dipinti, apparteneva alle terme di I-II secolo d.C., individuate nel sedime del palazzo arechiano posto a sud di palazzo Fruscione.

Finalità dei lavori è stata rendere il Palazzo un tutt'uno con la vicina Chiesa di San Pietro a Corte e la sala del palazzo reale normanno, andando a costituire una vera e propria isola archeologica per riscoprire la Salerno dell'epoca.

L’edificio conserva alcuni pregevoli elementi architettonici scolpiti in tufo disposti su tre livelli. Il fronte orientale mostra tre ordini di decorazione composta da porte con tarsie in tufo al piano terra, finestre bifore scolpite al primo piano e una fuga di polifore intrecciate al secondo livello. Le tre aperture sulla strada sono sormontate da archi a tutto sesto intrecciati con tarsie in tufo grigio e giallo, ognuna fornita di due colonne laterali. Per questo si deve considerare Palazzo Fruscione non come un edificio appartenente ad un periodo limitato, ma di un complesso di strutture, particolari, che corrispondono a diverse fasi storiche. Dall’analisi delle fasi costruttive e dalla ricerca di archivio, il palazzo, nel suo divenire, ha sempre risposto alla medesima destinazione funzionale di abitazione. Un uso che, a seconda delle condizioni socioculturali, economiche ed urbane, ha trasformato l’attuale costruito per il quale solo nel nostro secolo si pone la necessità di una destinazione d’uso diversa.

Palazzo Fruscione conserva i resti di un edificio normanno di XII secolo che aveva almeno due piani, due corpi di fabbrica con livelli differenti e un fronte su via dei Canali. Esso fu interessato dal riassetto dell’isolato avvenuto nel corso del XIII secolo, fase cui potrebbero appartenere le porte su via dei Barbuti. Senza dubbio gli ambienti su via Adelperga furono realizzati dopo la metà del XIII secolo ma purtroppo non è possibile associarvi nessuno degli elementi architettonici scolpiti superstiti. Il secondo piano è da considerarsi un intervento unitario, verosimilmente di fine XIII inizio XIV secolo. Le strutture di collegamento con gli ambienti del primo piano furono negate dall’impianto dell’attuale scalinata di XVII-XVIII secolo, epoca in cui il piano terra fu adibito a stalle. In seguito si cercò di restituire decoro agli ambienti formando vani ampi impreziositi da elementi di spoglio come i due stipiti di marmo decorati con racemi di vite e grappoli d’uva posti all’ingresso del salone del piano terra. 

FASE I – ETA’ NORMANNA

I lavori di restauro da parte di Giorgio Rosi, iniziati nel 1950, riconoscono nei resti di Palazzo Fruscione la chiara espressione dell’architettura normanna dell’Italia Meridionale. Vanno ricordati i lavori effettuati dall’équipe del Centro di Archeiologia Medievale di Salerno “Nicola Cilento” diretta da Paolo Peduto nel 1988, in base ai quali fu stabilita una quota stradale del XII secolo ad una profondità di circa 3,70 m dall’attuale livello. Per questa prima fase costruttiva, in base alla distribuzione delle strutture originarie, la facciata principale con relativo ingresso è da ritrovare verso San Pietro a Corte in corrispondenza del grosso arco acuto presente sul setto murario successivo all’attuale fronte: ciò si realizzò su vicolo Barbuti con il passaggio da 19,40 m a 24,85 m in larghezza, mentre sul lato opposto, verso via dei Canali, sa 19,80  a 22,10 m. E’ facile desumere che il tipo di crescita fu condizionato da un allineamento stradale, al quale la stessa Chiesa di San Pietro a Corte aveva già rivolto il lato lungo. I parametri murari più antichi reperiti in tutto lo stabile si trovano sui prospetti che guardano su via dei Canali. Già durante il restauro del secolo scorso fu messo in evidenza il frammento di una tarsia che mostra un motivo a rombi in tufo giallo incorniciato da tufi grigi. Sia nel prospetto del secondo piano che in quello del piano terra non è possibile controllare la consistenza del muro di epoca normanna verso Nord per la presenza di un barbacane antisismico e di un ambiente moderno.

Al secondo piano, verso Sud, si coglie la discontinuità tra il muro delle monitore normanne e un diverso corpo di fabbrica in pietra chiara. Su questo paramento più tardo si trovano due fasi di decorazione architettonica. La prima è costituita da un sistema di archi a tutto sesto intrecciati che formano nicchie archiacute in stucco, interrotto da un varco. Delle seconda rimane solo l’impronta nell’intonaco di un tema vegetale di racemi e foglie, relativo al portale di una finestra o balcone che interrompe la fuga di archi intrecciati.

Altre tracce della fase di XII secolo potrebbero essere apparecchi murari in tufi grigi e laterizi rinvenuti al secondo piano. Qui si è conservata anche una colonna con capitello di reimpiego la cui base è più larga del fusto della colonna, segno che non sono stati realizzati insieme. I pochi resti degli elementi in tufo suggeriscono che nell’ala occidentale del palazzo rimangano frammenti di un edificio indipendente, formato da almeno due corpi forniti di aperture decorate con tarsie bicrome, entrambi aperti su via dei Canali. 

FASE II – ETA’ ANGIOINA 

PIANO TERRA: Gli elementi architettonici decorati a tarsia visibili su vicolo dei Barbuti costituiscono la testimonianza più evidente della qualità architettonica del palazzo medievale. Grazie ai primi risultati di alcuni saggi di scavo effettuati all’interno si può affermare che gli ambienti meridionali, per come si presentano oggi, furono impiantati dopo la metà del XIII secolo. L’asportazione degli intonaci ha rivelato che la spazialità interna al piano terra ed al primo piano era scandita da pareti con archi. I saggi di scavo hanno evidenziato che esistono più livelli di frequentazione medievali fino a circa 80 cm di profondità. La fossa di fondazione aveva tagliato vari piani pavimentali, tra cui il più recente si può datare alla metà del XIII secolo per la presenza nel battuto di due monete sveve, dimostrando che i muri di oggi visibili sono stati eretti dopo quest’epoca. Lo scavo ha portato alla luce, inoltre, due cisterne: di questa la più antica era stata riempita con materiali della fine XIII inizio XIV  secolo, mentre la seconda è risultata coeva al pavimento a quota 8,80 m. In base a ciò si conferma la datazione alla prima età angioma per l’impianto del palazzo attuale. Le divisioni interne, tuttavia, risultano frutti di adattamenti successivi come si evince dai rapporti verificati nelle arcate del muro nord del vano centrale, vale a dire la posterità dell’arco più occidentale. Nel riassetto di fine XIII secolo, dunque, l’ambiente era di lunghezza ridotta poi fu allargato, probabilmente quando si determinò anche nei piani superiori la spazialità definita del cosiddetto Salone.

SECONDO PIANO: Il cosiddetto coronamento del secondo piano costituisce la fase edilizia meglio identificabile ma non interessa tutte le parti di cui si componeva l’edificio medievale. Grazie ai lavori di restauro, la decorazione, ben visibile su tutto il fronte est, è emersa anche sul perimetrale nord. Sul lato sud si interrompe lì dove si fermano anche le bifore scolpite al primo piano e non interessa il fronte ovest di via dei Canali né raggiunge gli ambienti eretti al di sopra del muro normanno più occidentale a dimostrare che questi ultimi furono realizzati in epoca recente per creare una facciata unitaria.

Fu l’esigenza di una luce diversa e di un nuovo modo di rapportarsi con l’ambiente esterno che rese necessaria la realizzazione di bifore e polifore più adatte allo scopo, anche se in contrasto con la struttura preesistente.  E’ forse proprio questo motivo diverso di far filtrare la luce e di rapportarsi all’ambiente esterno che ha reso necessarie, di volta in volta, determinate opere di apertura e di chiusura delle font di illuminazione. Le facciate dell’edificio sono anche la conseguenza di come sia mutata la necessità di luce e di aria in questa architettura nel corsi di mille anni. In base allo stile e alla tecnica costruttiva il coronamento in tufo viene assegnato alla fine del XIII inizio XIV secolo. La seconda sistemazione angioma del secondo piano non fu una costruzione ex novo. Ambienti meridionali e coronamento, presumibilmente si innestano sui resti di un edificio intermedio, Sul lato ovest rimane una traccia utile per la collocazione della scala precedente a quella del XVIII secolo, in uso oggi. Essa, posta in alto circa 1,40 m dall’attuale calpestio, si trova su un muro posteriore sia alla parete ovest che alla parete est. I risultati dell’indagine sul secondo piano sembrano indicare l’intervento edilizio corrispondente al cosiddetto coronamento si dovette adattare ad alcune preesistenze nell’ala ovest. I vani settentrionali e occidentali esenti dalla decorazione angioma in tufo, si distinguono anche per la presenza di fasi costruttive più complesse che contemplano la presenza di pezzi di murature di XII secolo rifatti più volte fino all’epoca moderna e contemporanea.

FASE III – DAL XIII SECOLO AD OGGI 

L’ampliamento e l’unificazione di Palazzo Fruscione avrebbe interessato due fabbriche distinte che avevano finestre al primo piano differenti per tipologia e formato. Resta di difficile comprensione la funzione e la cronologia della porta in tufi bicromi più meridionale che si sarebbe trovata in uno spazio condiviso dei due edifici e quindi andrebbe considerata un rifacimento posteriore, effettuato per collegare due nuclei doversi. Probabilmente vi fu l’edificazione di tutta l’insula in concomitanza con l’acquisizione delle fabbriche normanne in via dei Canali e di un altro nucleo, più orientale che probabilmente aveva già due piani. Per unificare la nuova proprietà sarebbero stati edificati i vani su via Adelperga e le fabbriche del piano terra di via dei Barbuti, comprese le porte con tarsia. In basi ai dati archeologici ciò sarebbe avvenuto dopo la metà del XIII secolo. La tipologia degli archi intrecciati e delle tarsie bicromie lunate del portale non definisce dal punto di vista stilistico.  Le tarsie in tufo grigio e pietra chiara sono impiegate come decorazione architettonica in Italia meridionale lungo un ampio arco di tempo che va dall’XI al XVI secolo. In particolare le porte di Palazzo Fruscione sono uniche perché, pur rientrando in linea generale tar gli episodi delle architetture cosiddette arabo-normanne, non hanno confronti stringenti con altre decorazioni architettoniche in Italia che le possano definire normanne, sveve o angioine.

Tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento, edificio ricevette un accrescimento della struttura verticale con la realizzazione di un altro piano. A questa fase fa subito seguito una pesante opera di ristrutturazione, tanto con la crescita strutturale verso via dei Canali, che con lo spostamento della facciata principale e del suo relativo ingresso verso San Pietro a Corte. Il nuovo ingresso fu realizzato con l’impiego di grossi elementi in pietra modanati tanto nei piedritti che nel gite dell’arco a tutto sesto, a differenza di quelli sui lati, che risultavano semplicemente squadrati e con un arco a sesto ribassato. In linea con il linguaggio architettonico dell’ottocento, il nuovo fronte venne completato con una cimasa piuttosto modanata, con delle cornici marcapiano, con un finto bugnato negli angoli, con un intonaco liscio, ad eccezione del livello terraneo dove è stato scanalato con lo stesso intervallo verticale del bugnato. In questi dettagli si riesce a leggere la logica progettuale, il cui obiettivo consisteva nel trovare sul lato di via Adelperga la nuova immagine o, più semplicemente, la facciata di un edificio la cui presenza si articolava rispetto ad una scena urbana nuova e di particolare rilievo. Lo stato delle cose, da quel momento, è restato sostanzialmente immutato, ad eccezione dell’edificazione di un altro piano, fino alla metà del ‘900, in occasione di opere di consolidamento statico dell’edifici, fu rinvenuta la presenza di quei resti che hanno posto in essere la lettura contemporanea di passati diversi.